Monday, December 17, 2012

I Balcani - L'incrocio più grande d'Europa (parte 1)

E poi – il tuonante suono di una sirena che mi fece pensare a un gigante che soffia dentro un enorme trombone, il caotico brusio di gente che si affrettava a prender posto vicino ai finestrini panoramici, l'improvviso vibrare proveniente da qualche parte sotto i piedi, dalle viscere più profonde di quella bestia galleggiante, il rombo di motori, un ciuffo di fumo marrone dalla canna fumaria – partimmo.
Pioveva a dirotto. Sulle montagne dietro Antirìo il cielo lampeggiava minaccioso, senza però emettere alcun suono. Silenzioso, come il mare, che, nonostante il vento e le onde, sembrava non voler disturbare la quiete di quel momento surreale – ma forse, il che è più probabile, i rumori delle onde venivano semplicemente coperti da quelli della nave. Una voce gracchiante e fastidiosa ci informò dei vantaggi (tutti rigorosamente a pagamento) dei quali avremmo potuto usufruire durante il viaggio, e ripeté le stesse cose in cinque lingue – greco, inglese, italiano, francese e tedesco – mentre il chiacchiericcio generale iniziava a riempire l'aria circostante e a mescolarsi insieme a tutti gli altri suoni, tant'è che non mi accorsi nemmeno che la voce ad un tratto s'era zittita, e la sponda stava già iniziando ad allontanarsi. Mi sedetti ad un tavolino libero vicino a un oblò, poggiai lo zaino a terra, tirai fuori penna e taccuino e iniziai a scrivere l'ultimo capitolo di quella emozionante avventura. Un'avventura che valeva sicuramente la pena di essere raccontata.


Tutto iniziò qualche mese prima, quando, nell'afa bolognese di un'estate fin troppo precoce, mi resi conto di aver bisogno di dover prendere un po' di tempo per me stessa, lontana da tutto e da tutti, per dare l'opportunità alla mia mente sovraffollata di metabolizzare gli avvenimenti degli ultimi mesi e riordinare un po' i pensieri. Erano accadute così tante cose nuove, così tanti cambiamenti, ai quali non ero riuscita a dedicare la dovuta attenzione, impelagata com'ero in diecimila cose da fare, così tanti avvenimenti che si sono succeduti così rapidamente da non lasciarmi altro che viverli  passivamente e basta, assorbirli pazientemente, aspettando il momento adatto per mettere le cose in ordine. Stavo entrando in una fase di vita tutta nuova, una fase segnata dal primo due che andò a sostituire l'uno delle decadi da me vissute, e dall'irrimediabile e sempre più veloce allontanarsi della mia infanzia. Stavo, in altre parole, diventando adulta. Quale viaggio migliore allora, pensai, di un interrail? Le interminabili ore nei treni mi avrebbero dato tutto il tempo e la calma dei quali avevo bisogno, e i paesaggi sfocati dietro ai finestrini mi avrebbero fatto da ottimo balsamo per l'anima. Senza dire niente a nessuno, comprai il biglietto dal sito delle ferrovie, e iniziai a progettare il mio percorso. Avevo un mese libero a disposizione, da metà luglio a metà agosto, così optai per il biglietto da 10 giorni da utilizzare nell'arco di 22 giorni. Presi un foglio bianco formato A4, e ci disegnai una griglia sopra, mettendo in ognuno dei 22 quadratini una data. Quello sarebbe stato il mio calendario di viaggio, calendario che in seguito avrebbe subito decine di modifiche, cancellazioni, riscritture, fino ad essere completamente lasciato perdere negli ultimi giorni, quando, finalmente, mi abbandonai al caso, senza più badare a grafici e orari. Quella tabella, in realtà, mi doveva servire per poter cercare alloggio in anticipo, tramite il sistema di Couchsurfing: una comunità di viaggiatori che si ospitano gratuitamente a vicenda, comunità alla quale faccio parte da diversi anni e la quale non solo mi ha insegnato il vero modo di viaggiare, ma mi ha anche regalato momenti preziosi ed emozioni indimenticabili, che non avrei potuto provare pernottando in un qualche normalissimo albergo. Il funzionamento di Couchsurfing è semplice: basta mandare qualche messaggio ai residenti del posto dove si vuole andare, e aspettare che qualcuno di loro risponda alla richiesta. La probabilità di incappare in qualche maniaco sessuale è limitata dall'efficiente sistema di feedback che gli utenti sono tenuti a lasciare sui profili di coloro che hanno ospitato o che li hanno ospitati. Dunque, avevo bisogno di sapere esattamente dove mi sarei trovata in ciascuno dei giorni del mio viaggio, per poter mandare delle richieste di alloggio (o di surfing, come diciamo noi couchsurfisti) precise e dettagliate. La strada del mio viaggio mi portava ad est, ma quella fu una decisione presa spontaneamente, quasi per caso: l'idea iniziale era di andare a trovare la mia famiglia e i miei amici in Russia, fermandomi in tutte le nazioni che avrei trovato per strada, tuttavia ben presto capii che era un'opzione da scartare. Prima di tutto, avrei dovuto fare tutto di corsa, perché la Russia, diciamolo, non è proprio dietro l'angolo, e questo avrebbe diminuito di molto il tempo che avrei potuto dedicare alle mie fermate intermedie. In secondo luogo, l'interrail è un biglietto valido solo all'interno dell'Unione Europea, e solo metà della strada che sarei andata a fare si trova dentro i suoi confini. Così, decisi di partire, sì, in direzione est, ma di girare poi bruscamente a sud: in poche parole, i Balcani mi stavano aspettando. Quella parte d'Europa è sempre stata quella alla quale ho, non so per quale diamine di motivo, dedicato meno attenzione di tutte, tanto da confonderla, spesso, con i Paesi Baltici. Sono troppo giovane per ricordare i conflitti che distrussero l'ex Yugoslavia, così ho sempre dato per scontato che, aldilà del mare Adriatico, non si trovasse altro che un ammasso di piccoli staterelli insignificanti, senza preoccuparmi di saperne di più. Quella decisione così improvvisa, tuttavia, cambiò tutto, così mi ritrovai a passare ore intere su siti di viaggio e di turismo, o su blog di persone che ci erano già state, o davanti alla pagina di Google Maps, cercando di memorizzare tutti quei nomi così complicati e che, nonostante sia sempre stata brava in geografia, lo giuro, non avevo mai sentito prima: Zagreb, Skopje, Podgorica, Pristina. Dovevo tracciare un percorso ideale che riunisse tutti i luoghi di maggiore interesse nella minore quantità di tempo, e ciò non fu un compito facile, tenendo conto dei pochi o nulli collegamenti ferroviari in alcune zone (come nella città di Dubrovnik, che, nonostante adesso sia una famosa e affollata località turistica con tanto di aeroporto e porto navale, non ha una stazione dei treni) o dei pessimi siti delle suddette ferrovie, la maggior parte dei quali non hanno una versione in inglese oppure hanno orari non aggiornati da chissà quanti anni. Quel viaggio mi si proponeva non solo come vacanza, ma anche come sfida, come scommessa con me stessa: un amico mi aveva detto una volta che per smettere di temere qualcosa bisogna affrontare le proprie paure di petto, immergersi completamente dentro di loro, fino a scoprire che non sono poi così terrificanti come ci sembrava all'inizio. Questo fu uno dei motivi per i quali partii da sola, senza rivelare a nessuno dove sarei andata e cosa avrei fatto. Era sia un modo per testare la mia resistenza alla solitudine, e sia un modo per superare quel preconcetto che ci viene inculcato da sempre di quanto sia pericoloso e irragionevole per le giovani ragazze viaggiare senza un accompagnatore di sesso maschile.
Così, il 12 luglio 2012, alle 08:10 del mattino, dopo decine di notti passate a sognare quel magico momento, e a pensare a chissà come sarà e chissà chi incontrerò e chissà se sarò ancora viva alla fine di questi ventidue giorni, partii. Per non lasciarmi sopraffare dalla classica ansia pre-partenza, cercai, soprattutto negli ultimi giorni prima della fatidica data, di occupare la mente il più possibile, così che mi ritrovai a fare i bagagli all'ultimo momento, con l'unico risultato di dimenticare un sacco di roba: in primo luogo, il carica batteria della mia macchina fotografica, la quale mi disse addio su una delle strade del centro di Belgrado, nel bel mezzo del mio viaggio, costringendomi, da quel momento in poi, a fare le foto con il tablet. In secondo luogo, dimenticai il passaporto, nonostante tutto il tempo passato su Wikipedia, la quale mi aveva più volte avvertita che di tutti gli stati balcanici solo la Slovenia e la Grecia fanno parte dell'Unione Europea. Fortunatamente, più in là scoprii di non averne bisogno – a volte i cittadini europei hanno certi privilegi che neanche gli abitanti del luogo hanno – tuttavia passai delle brutte ore, a Lubiana, con la paura di aver fatto appena poco più di 300 km e di dover già tornare indietro, fino a quando non trovai un punto dove collegarmi a internet e assicurarmi che, per fortuna, non ne avrei avuto bisogno. E, in terzo luogo, partii senza controllare le previsioni del tempo, convinta che, trovandomi più o meno nelle stesse latitudini italiane, non avrei sicuramente avuto bisogno di giacche o maglioni nel mese di luglio. Tre errori da non ripetere mai più.



(to be continued...)

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